Passeggiare sugli Appennini, dai Sibillini all’Alpe della Luna passando dal San Vicino, dal Catria e Nerone vuol dire attraversare sentieri, prati, vette che non appartengono a singoli ma a delle proprietà collettive. Nel Nord Italia, le chiamano “regole”, in Emilia “partecipanze” e nelle Marche “comunanze agrarie”. Per la Fondazione Medit Silva, nella nostra regione sono oltre 500 che gestiscono, da un calcolo della Coldiretti, fino a 70mila ettari di terreni. Ossia più del 10% della superficie agro-forestale totale marchigiana. Hanno origini antichissime, alcune addirittura risalgono all’alto medioevo, e sono formate da abitanti di una determinata zona o discendenti delle famiglie.
Spesso i loro nomi non lasciano spazio all’interpretazione. Come sul Monte Catria l’Università degli uomini originari di Frontone o le XII famiglie originarie di Chiaserna a Cantiano. Non sono associazioni desuete, anzi sono la verace testimonianza di un ancestrale rapporto tra l’ambiente, le persone e le comunità, un diritto alle pari opportunità ante litteram. E ciò perché le loro radici le affondano nell’ager compascuus e nei communia delle colonie romane. Il diritto a vivere di una comunità che non possedeva delle terre ma, collettivamente, gli si dava in gestione i terreni incolti, quelli troppo difficili da coltivare. Anche se fu con le dominazioni barbariche che nacquero di fatto le Comunanze. Quando, senza i municipi romani, le persone si aggregarono e, a queste “universitates hominum”, furono assegnate le terre che non rientravano nelle proprietà private e, quindi, dato il diritto di “mangiare, vestirsi, scaldarsi”, di poter seminare, pascolare, tagliare legna, raccogliere erba, costruire capanne.
Diritti arcaici detti di “usi civici” che non sono né diritti reali, né personali, non sono pubblici e nemmeno privati, ma dei diritti collettivi, inalienabili ed imprescrittibili. Nel paese delle Grotte di Frasassi, nel cuore del Parco Regionale della Gola della Rossa e di Frasassi, ad esempio, opera la comunanza agraria delle Tre Parrocchie (Genga, Rosenga e Monticelli) che ebbe i beni da Papa Leone XII nel 1825. Gestisce circa 70 ettari di boschi cedui a cui oggi si somma, con una convenzione con il Comune di Genga, la gestione di altri 85 ettari di proprietà delle “dormienti” comunanze agrarie di Piano di Rocchetta, Villa Serra, Villa Foce, Cinque Ville e Spineto.
Questa comunanza ha ripristinato lo splendido e panoramico “Sentiero dell’Aquila”, un percorso ad anello lungo 7 km illustrato da 10 pannelli, che dal X secolo metteva in comunicazione il contado di San Vittore delle Chiuse e Castel Petroso, l’attuale Pietrosara quando la strada che attraversa la Gola di Frasassi – fu costruita nel 1912 – non esisteva ancora. Ed ancora il “Sentiero del Papa” che dal Castello di Genga porta fino all’incontaminata e misteriosa Valle Scappuccia.
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scritto da Veronique Angeletti
Sabato 14 Maggio 2022 © RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere Adriatico